Testo di Nikos Maziotis “Non un passo indietro”

NON UN PASSO INDIETRO

 

Le maschere dell’ipocrisia stanno iniziando a cadere, rivelando le vere ragioni del rifiuto alla mia richiesta di permesso.

Secondo i membri del consiglio penitenziario, che hanno respinto la mia richiesta per la terza volta, il motivo è stato proprio il testo che ho pubblicato lo scorso giugno, quando la mia ennesima richiesta di permesso era stata respinta per la seconda volta.

Ecco l’intera motivazione della decisione del consiglio: “Come risulta dalle recenti dichiarazioni pubbliche e dalle opinioni espresse via internet, attraverso le quali esorta un numero indefinito di persone a commettere reati, e che sono prese in considerazione come elementi della sua condotta e della sua personalità in generale, appare con certezza che vi sia il rischio che possa commettere nuovi atti criminali (durante il suo periodo di permesso) occasionati da queste dichiarazioni. Non è quindi ragionevole credere che il richiedente farà buon uso del suo permesso.

A parte la palese menzogna che nel mio testo dell’8/6/21 ci sia un’incitazione a commettere atti criminali – se così fosse, potrei essere perseguito penalmente – il chiaro messaggio politico del consiglio penitenziario è il seguente: “Non esprimete pubblicamente le vostre opinioni politiche, non criticate il sistema, rinunciate alla vostra identità politica e allora forse potrete ottenere un permesso”. Un chiaro tentativo di imporre la censura politica in cambio di un favore da parte di una cosiddetta “democrazia” che dovrebbe permettere la libertà di espressione.

Nel testo dell’8/6/2021 ho indicato le vere ragioni del rifiuto alla mia richiesta di permesso. E queste sono la natura stessa delle azioni per le quali sono sono rinchiuso in prigione da quasi 9 anni. Le mie azioni con Lotta Rivoluzionaria, il fatto io mi sia assunto la responsabilità politica della partecipazione a Lotta Rivoluzionaria, la mia difesa all’azione e all’organizzazione, il fatto che io sia rimasto politicamente coerente in tutti questi anni, il fatto che io e la mia compagna, Pola Roupa, non ci siamo mai pentiti e non ci siamo mai tirati indietro. Questo perché continuiamo a credere nelle stesse cose, nel diritto alla nostra lotta, nel diritto alla lotta rivoluzionaria.

Dal momento che i funzionari del carcere non possono, e non hanno il coraggio di affrontarmi con argomenti politici, di decostruirmi politicamente e di conseguenza di riconoscermi come un avversario politico, come lo sono io, contro il regime che rappresentano, inventano pretesti per respingere la mia richiesta. Pretesti come i provvedimenti disciplinari che ho dovuto subire e l’invocazione alla possibilità che io commetta nuovi crimini come già successe la prima volta, e come sta succedendo ora. Solo che adesso l’invocazione di nuovi crimini si basa su opinioni politiche libere che ho espresso pubblicamente nel mio testo politico.

Ci sono molte cose che li infastidiscono nel testo dell’8/6/2021. È la mia critica alla “giustizia indipendente” dello Stato per il modo in cui mi ha trattato, che è un modo informale di esclusione. E’ l’esclusione, per me e per la mia compagna Pola, dalle cure parentali per nostro figlio invocando criteri politici. E’ la nostra condanna come membri di Lotta Rivoluzionaria, e l’incarcerazione di Pola nel Dipartimento Psichiatrico dell’Ospedale dei Bambini, una pratica dei regimi fascisti. E’ la nostra recente condanna all’ergastolo per l’attacco di Lotta Rivoluzionaria contro la BCE-BoG e il FMI, senza essere accusati di omicidio, applicata per la prima e ultima volta da una legge del 1969 imposta dalla giunta per affrontare l’allora guerriglia cittadina. Permettetemi di sottolineare che, nel corso del tempo, questo è stato l’atteggiamento preso dell’attuale governo, nei confronti degli oppositori politici del regime, rendendo il loro trattamento più duro di quello di altre categorie di prigionieri.

Ciò che li ha infastiditi nel mio testo è la critica all’ipocrisia della “giustizia indipendente” dello stato che accarezza i propri agenti di regime, spacciatori di droga (vedi NOOR 1) o stupratori e pedofili come N. Georgiadis, che è appena stato condannato a 28 mesi con sospensione della pena, per aver avuto rapporti sessuali a pagamento con dei minori in Moldavia, dove si trovava in servizio diplomatico.

Sono le critiche alla “giustizia indipendente” dello stato, che accarezza i neonazisti paramilitari di Alba Dorata, che per tanti anni hanno agito sostenuti dalla polizia “democratica”, dallo stato “democratico” e dall’establishment politico, alcuni dei quali si trovano in prigione e sono stati autorizzati ad essere trasferiti nelle prigioni rurali e nel KAYF (Centro di stoccaggio delle scorte della prigione centrale NdT*), in modo da poter essere rilasciati molto prima. Mentre noi, che siamo stati condannati per guerriglia urbana, veniamo privati di questa possibilità dal Ministero della Giustizia e dei Diritti Umani, con l’ultima legge del novembre 2020.

L’atteggiamento discriminatorio della “giustizia” “indipendente” e “antifascista” dello Stato è dimostrato dal fatto che la Corte d’Appello, composta da 5 membri, ha recentemente sospeso la pena di un condannato per l’omicidio di Pavlos Fyssas, riducendola a solo 2,5 anni di prigione.

Erano anche infastiditi, molto probabilmente, dal riferimento nel mio testo – e in quello che avevo pubblicato prima, intitolato “SOPPRESSIONE, LEGGE E ORDINE”- che l’escalation della repressione penale inizia sempre e si concentra sugli oppositori politici del regime, e si evolve in una politica repressiva obliterante contro le reazioni sociali. Oppure alla menzione che le stesse politiche dello stato, i memorandum e le misure per affrontare la crisi economica, ma anche l’intensificazione della repressione statale, hanno portato all’esplosione della delinquenza sociale e della criminalità. Il mio testo dell’8/6/2021 era un testo di critica politica e non conteneva alcun incitamento a commettere atti criminali. Fin dall’inizio, il procuratore del consiglio penitenziario, all’udienza sulla mia richiesta di permesso del 22 ottobre, ha fatto riferimento alla diffusione pubblica delle mie posizioni, senza menzionare il suddetto testo dell’8/6/2021, dicendo che tali posizioni erano state prese in considerazione per la valutazione della mia condotta e della mia personalità, per la concessione di permessi e per la libertà condizionale.

In effetti, il procuratore ha confermato quanto ho detto nel testo dell’8/6/202, cioè che vogliono tenermi in prigione il più a lungo possibile, oltre il limite dei 3/5 della mia pena. Il procuratore ha poi chiaramente sollevato la questione della rinuncia ad esprimere le mie idee e le mie opinioni politiche, in modo da poter ricevere un trattamento più favorevole e l’autorizzazione alla concessione di un permesso. E questo, essenzialmente, significa rinunciare alla mia identità politica.

Gli ho chiesto direttamente se esigeva da me una dichiarazione di pentimento e mi ha risposto, seccato, che non intendeva il pentimento nel senso politico della parola! Gli ho fatto presente che non c’è pentimento non politico nel mio caso, perché siamo figure politiche, che svolgono un’azione politica, e che quindi ci consideriamo prigionieri politici e non facciamo tali dichiarazioni. Gli ho anche detto che quando in Grecia saranno approvate leggi per i pentiti e per lo sconto di pena, come quelle attualmente in vigore in Italia, allora sarà possibile, legalmente e politicamente, porre tali condizioni in termini di parità.

Il potere statale in Grecia, come ovunque, ha una continuità nel tempo, e nonostante le diverse forme che ha assunto, monarchico-fascista, dittatoriale, borghese-parlamentare, cerca sempre la stessa cosa: spezzare e schiacciare i militanti, farli ricredere, farli pentire, farli tacere in modo da non potersi esprimere politicamente, fargli perdere la loro identità politica e costringerli ad abbandonare la pratica della lotta.

C’è un filo storico tra questi strumenti statali, i procuratori militari e generali, i gendarmi che pretendevano, ai tempi di Metaxas, a Makronisos, durante la guerra civile, nella giunta, una dichiarazione di pentimento del combattente per poter tornare a casa dalla sua famiglia, e gli strumenti del memorandum civile “democrazia” che chiedono a me di non pubblicare le mie opinioni politiche per ottenere il permesso di vedere mio figlio. Se una volta la posta in gioco del pentimento era la condanna del comunismo, oggi la posta in gioco è la condanna dell’azione rivoluzionaria armata.

Dal 2010 sono il primo prigioniero politico ad essere condannato a 20 anni di prigione. Sapevo in anticipo che il nostro trattamento in tutti questi anni sarebbe stato speciale. E finché non saremo politicamente silenziosi in prigione, finché non “negozieremo”, finché non saremo “malleabili”, “flessibili” o “loquaci”, questo sarà l’approccio che avranno nei nostri confronti. So anche che questo testo potrà essere usato nuovamente contro di me, alla mia richiesta di permesso o di libertà condizionata. Ma chiarisco ancora una volta che non rimarrò in silenzio, non accetterò ricatti o censure per poter prendere una boccata di libertà e vedere mio figlio, che è stato privato dei suoi genitori ribelli per 5,5 anni. Dopo tutto, quale educazione ed esempio gli darei? Che si può rinunciare a se stessi, vendere i compagni e la lotta per essere trattati più favorevolmente? Sarebbe inaccettabile e indecente. Continuerò a parlare politicamente dalla prigione usando l’arma della critica. Esorto i procuratori prima del prossimo consiglio, tra due mesi, a cercare su internet le centinaia di testi politici che abbiamo pubblicato dal 2010, e le nostre posizioni politiche nei tribunali come Lotta Rivoluzionaria, in modo da essere più informati.

Li esorto anche ad essere più diretti nel prossimo consiglio penitenziario, e a non confondere le parole quando chiedono dichiarazioni di pentimento. Da parte mia, dico loro chiaramente NON UN PASSO INDIETRO.

Nikos Maziotis membro di Lotta Rivoluzionaria

Quarta ala della prigione di Domokos – Grecia

Fonte: actforfree.noblogs.org

Traduzione: infernourbano

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