Eventi- Torino- Corteo Anti-Militarista

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Notizie- Grecia/ Atene- Omicidio poliziesco di Niko Sabani

Atene, Grecia: Cosa è successo nella zona di Perama sabato 23 Ottobre?da Il Rovescio

Nelle prime ore di sabato 23/10/21, 7 poliziotti in bicicletta stavano inseguendo un’auto che pensavano fosse rubata. Dentro c’erano tre ragazzi giovanissimi, che i poliziotti hanno riconosciuto come rom. Pochi istanti dopo i poliziotti hanno esploso 38 colpi di pistola, diretti non alle gomme dell’auto (nel presunto tentativo di fermarla), ma più in alto, in un chiaro tentativo di ferire/uccidere i passeggeri dell’auto. I tre giovani erano disarmati. Nikos Sampanis, di 18 anni, è stato ucciso all’istante, colpito da 2 proiettili al petto. Un 16enne è ferito ed è ancora ricoverato in ospedale mentre il 14enne che guidava l’auto è riuscito a scappare. I poliziotti inizialmente sono stati arrestati e accusati del reato di omicidio colposo e tentato omicidio colposo.Pochi minuti dopo il loro *arresto*, Spyridon Georgiadis, ministro dello sviluppo e degli investimenti, ha twittato le sue congratulazioni ai poliziotti assassini. Il ministro della protezione dei cittadini, Takis Theodorikakos, ha fatto loro visita in prigione. Per “motivi simbolici”, come ha dichiarato.Fin dal primo momento, i mass media in Grecia si sono concentrati sul fatto che il giovane assassinato è un “rom”. Inoltre, hanno falsamente riferito che aveva numerosi precedenti. Questa è stata dimostrata essere una falsità. La famigerata giornalista della polizia Nina Karamitrou ha postato una foto di un uomo dalla pelle scura con una pistola, presentandolo come Nikos Sampanis. La foto era falsa. L’avvocato della polizia, A. Kougias, ha definito la comunità rom in Grecia “una piaga”. Kougias è un noto avvocato penalista, ed è stato anche un l’avvocato difensore di innumerevoli casi riguardanti la mafia greca. E’ stato anche l’avvocato difensore del poliziotto che uccise il 16enne A. Grigoropoulos nel 2008.La realtà è che la comunità rom è costantemente presa di mira dalle autorità e sottoposta a razzismo e discriminazione dalla società greca. La comunità rom è un tipico caso di comunità emarginata.Ieri sera l’investigatore e il procuratore hanno deciso di rilasciare dalla custodia, senza misure restrittive, tutti i poliziotti accusati del reato. Ancora una volta, pochi minuti dopo la decisione, il ministro della protezione dei cittadini, Takis Theodorikakos, ha espresso la sua “soddisfazione per la decisione della magistratura indipendente”.La vostra democrazia si nutre di sangue – I poliziotti uccidono – I mass media greci corrotti fabbricano notizie su ordine dello stato e del capitale – La magistratura lo permette e acconsente.

NOI NON PERDONIAMO – NOI NON DIMENTICHIAMO

Fonte: actforfree.noblogs.org e athens.indymedia.orgTraduzione: infernourbano

La notte di Venerdì 22 Ottobre, Niko Sabani, un giovane ragazzo di 20 anni è stato assassinato da sette agenti Dias della Polizia greca dopo un inseguimento in macchina, con una sparatoria di 38 colpi ha ucciso il giovane e ferito un’altro ragazzo sedicenne ricoverato in gravi condizioni, entrambi di origine Rom.

Esplodono proteste, blocchi autostradali, barricate e scontri con la polizia ad Atene e non solo. In prima fila la comunità Rom, assieme ai movimenti della sinistra extraparlamentare e individualità greche che da tempo lottano contro le violenze omicide della polizia. Ne abbiamo parlato con un compagno dalla Grecia.

Ascolta la diretta:

https://radioblackout.org/2021/10/grecia-omicidio-poliziesco-di-niko-sabani-proteste-e-scontri-della-comunita-rom/

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Notizie- Turchia- Arrestati tre compagni della DAF

Tre persone della rivoluzionaria Federazione anarchica (DAF) che hanno scritto a riguardo del massacro del 10 ottobre a Ankara Yenimahalle sono detenuti.

I membri DAF detenuti sono stati portati al Tribunale dopo essere stati trasferiti al Dipartimento di Polizia del distretto di Yenimahalle.
L’accusa fatta dal Procuratore contro i rivoluzionari che hanno scritto                                                “Il 10 ottobre dovrà tenere conto” (Titolo originale- “October 10 will be held to account)                      era con lo scopo di “incitare le persone a odio e inimicizia”.

I nomi dei detenuti sono i seguenti:
Guny Akgun.
Ismail Arikan.
Zeynep Ulger.

Nuova accusa: “creare paura e panico tra il pubblico!”
L’accusa ha cambiato la carica per “generare paura e panico tra il popolo” e ha affidato il tutto all’ufficio giudiziario sul terrorismo. Tuttavia, è stato appreso che anche l’Ufficio della proceduta del terrorismo ha respinto il file e ha detto che non lo investigheranno a riguardo.
I membri DAF sono stati indirizzati all’ufficio del procuratore speciale per le indagini dopo che il procuratore del terrorismo ha detto che non avrebbe investigato. Tuttavia, l’ufficio del procuratore della ricerca speciale ha agito nello stesso modo, affermando che non potevano partecipare a loro e li ha rilasciati tutti.

Traduzione da: Campania Libertaria

Fonti: ActForFree; Meydan; Anarquia.info

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Comunicato- Roma/ Bologna- Nè con i reazionari, nè con la reazione

NÉ COI REAZIONARI, NÉ CON LA REAZIONE

(Ovvero né coi fascisti né coi collaborazionisti)

Di fronte ai fatti di sabato 9 ottobre, inerenti l’occupazione della sede nazionale della CGIL da parte di una folla arrabbiata capitanata dall’organizzazione neo-fascista Forza Nuova, ogni silenzio o volontà di non vedere quanto accaduto sono provvidi dei pessimi tempi a venire. Parliamoci dunque schietto su un fatto che di qui in avanti non si potrà trascurare e facciamolo fra chi, nel campo rivoluzionario, si fa domande sulle contraddizioni che serpeggiano nelle piazze in subbuglio, conosce bene i propri nemici di classe, si smarca da calcoli politici e nella rabbia non vede un oggetto da governare, ma un contesto dove intervenire per creare un clima accogliente alle proprie istanze di liberazione.

Un sindacato che negli ultimi decenni ha instancabilmente lavorato per la ricomposizione sociale, favorendo le ristrutturazioni che il capitale ha intrapreso e assecondando così il peggioramento inesorabile delle condizioni di vita di lavoratori e lavoratrici, per conto nostro, è un corpo di Stato e, in quanto tale, indegno di solidarietà alcuna. Inutile perder tempo ad argomentare su quanto appena affermato, chi ha occhi per vedere ha ben presente quel che diciamo. Il ruolo storico dei confederali è attualmente quello di un corpo sociale in collaborazione con il padronato. Un ruolo storico che la crisi economica innescata dalla pandemia non ha fatto che confermare. Confindustria si attesta saldamente al governo e imposta il cammino verso la nuova normalità a suon di ricatti dal marzo 2020, con i sindacati che, di fronte alle “cause di forza maggiore” smussano gli angoli e rendono digeribili gli amari bocconi.

Il green pass, al di là della critica alla società del controllo e della discriminazione, non fa eccezione. È infatti un’imposizione dettata dal padronato per scaricare le responsabilità sanitarie su chi lavora, senza investimenti sulla salute e sulla sicurezza nei posti di lavoro, ma anzi avendo una buona scusa per alzare i ritmi e recuperare le perdite; esattamente come le aperture irresponsabili del marzo 2020 o i licenziamenti che si vanno compiendo da quest’estate. Che questo strumento non serva ad assicurare la sicurezza sul posto di lavoro è un dato che chiunque può acclarare, esso infatti non certifica alcuno stato di salute (ammesso e non concesso che un documento che invece lo certificasse possa dirsi legittimo), ma direziona verso l’adesione a un determinato programma di profilassi. Quanto a Confindustria e affiliati importi del reale stato di salute di chi va sfruttando lo si è capito bene nel tempo, vedendo luoghi di lavori divenuti focolai che rimanevano aperti o campagne di screening evase perché troppo costose per le aziende.

Che però proprio i fascisti di Forza Nuova abbiano guidato una folla malleabile verso un obiettivo quale la sede di un sindacato collaborazionista pone problemi notevoli. Se negli anni tali soggetti sono sapientemente stati estromessi dalle lotte era proprio perché simili fatti non venissero a presentarsi. Pratiche infatti su cui di per sé nulla c’è da eccepire, diventano non assumibili se i contenuti che esprimono le significano in senso reazionario. La cacciata di Lama dalla Sapienza il 17 febbraio 1977 da parte degli studenti è un fatto che sentiamo parte del nostro patrimonio rivoluzionario, perché attaccare i traditori di sfruttati e sfruttate è espressione di genuina lotta di classe. Ma i fatti del 9 ottobre per mano dei fascisti, non sono assumibili. Sono infatti l’espressione di un populismo dilagante in grado di governare delle piazze confuse e proprio per questo dimostrano quanto i fascisti utili siano ai padroni, rendendo torbido e sterile il conflitto sociale.

Questo è in fin dei conti il motivo per cui oggetto dell’assedio non sia stata semmai Confindustria, quando mai si è visto dei fascisti prendersela con dei padroni? L’occupazione della sede della CGIL, l’attacco ai picchetti di lavoratori in sciopero, la presenza in strada a fianco dei proprietari di casa contro il blocco degli sfratti o dei commercianti sono fatti che le destre usano per affermarsi politicamente e legittimarsi di fatto agli occhi del padronato con cui saltuariamente millantano l’aperto conflitto.

Se ci chiediamo cos’ha creato il vuoto in cui costoro si sono inseriti dobbiamo, preliminarmente a tutto, ragionare del “mal di Stato” da cui la sinistra e i residui dei movimenti sociali sono afflitti oggi più che mai. Quando le posizioni dello Stato e di Confindustria si distinguono da quelle dei cosiddetti rivoluzionari per trascurabili sfumature sui dettagli della spesa pubblica e quando la direzione che la sinistra di classe asseconda o deliberatamente intraprende è di fatto la stessa segnata dallo Stato nel recupero della sua “normalità”, varrebbe la pena farsi qualche domanda. Le recenti piazze contro il lasciapassare, stanno proprio a dichiarare l’emersione di una contraddizione, tanto interna al sistema quanto a chi pretenderebbe di opporvisi.

Tanto si è battuto sul concetto di responsabilità collettiva, senza lucidità e in modo del tutto ideologico, da non vedere come, nel contesto dell’individualismo neoliberista, un appello del genere avesse conseguenze foriere dell’esatto opposto: una totale deresponsabilizzazione sociale, ben sperimentata per altro durante la fase estiva della campagna vaccinale. Parlare di responsabilità sociale estesa e indistinta, slegata dalle concrete relazioni sociali significa avallare i progetti dello Stato: di fatto l’unico in grado di gestire una tale responsabilità in assenza di una più globale riflessione sul consenso e l’autogestione. Invitare le persone a vaccinarsi, individuando nei farmaci presentati come “vaccini”, la soluzione al problema pandemico, piuttosto che appoggiare la libera scelta, ha di fatto assecondato l’avanzamento della campagna vaccinale promossa dal governo e proiettata verso quanto ci troviamo a vivere: una nuova orribile “normalità” alle porte, che si crede capace di gestire il problema sanitario, senza così intervenire sulle contraddizioni che l’hanno prodotto. Punto a capo, assai irresponsabile insomma.

Responsabilità è un concetto da cui di certo non ci smarchiamo, ma verso chi e per salvare cosa? Un mondo che pretende responsabilità e non concede nulla, che non impara nulla da quanto è successo e non dà segni di cambiamento, non sta chiedendo responsabilità, ma imponendo obbedienza. Coprifuoco, lockdown generalizzati e lasciapassare stanno lì a dimostrarcelo, sono solo un doveroso rafforzamento di questa richiesta di responsabilità dopo tutto.

Si arriva così al punto in cui i fascisti guidano la rabbia dei lavoratori. Non possiamo sperare che questo fatto sarà nell’affermarsi delle contraddizioni di classe che di qui in avanti si andranno necessariamente imponendo sempre più fortemente- un fattore ininfluente e trascurabile. No signori, quell’assalto ha realizzato un discorso assai problematico, anche solo nell’immaginario, il passaggio delle forze della destra estrema da un semplice piano nazionalista e populista a uno di socialismo nazionale, realizzando nella pratica le note istanze sociali del fascismo della prima ora. Di fronte a una forza politica che non le manda a dire a un sindacato che ormai tanta gente riconosce come collaborazionista, come si potrà controbattere che i fascisti non difendono i lavoratori? Da qui indietro non si torna, o si dimostra qualcosa, sul campo, facendo indietreggiare il fronte padronale, oppure la partita è chiusa.

Che non sia solo questo il problema ne abbiamo consapevolezza. Le difficoltà di azione in cui ci troviamo come soggetti sovversivi sono oggettive e dimostrare coi fatti i nostri discorsi è facile a scriversi, difficile a farsi. Siamo però altrettanto incoraggiati dagli spazi che il discorso pubblico sul tema lasciapassare nell’ambito lavorativo ci può offrire per declinare in un’ottica di classe quel che sta avvenendo, smarcato potenzialmente da ambiguità e confusioni di sorta.

Sarà la dimostrazione delle nostre istanze a far fuori i fascisti dalle strade e non certo il rintanarsi nell’ennesimo “mal di Stato” rappresentato dall’antifascismo dilagante. L’antifascismo si afferma strumento di consenso e mobilitazione ormai da tempo in mano alle istituzioni, capace di accalappiare cittadini comuni e militanti convinti, tutti spaventati dalla rappresentazione del ventennio che risorge via chat. L’antifascismo istituzionale impone una rappresentazione aberrante del conflitto sociale in corso, che con tutte le sue miserie e contraddizioni non può però ridursi all’espressione di una pura ignoranza strumentalizzata dai fascisti. L’ennesimo strumento in mano dei padroni più che valido per tener lontano dalle piazze quanti con camerati vari non vogliono aver nulla a che spartire (e che a differenza loro non rientreranno nei ranghi a comando), ottimo per permettere a sindacati e sinistri vari di zittire definitivamente ogni istanza avversa al green pass.

Così pure parlare di squadrismo, tocca tanto il cuore di ognuno, quanto afferma una menzogna, che la CGIL d’oggi sia paragonabile alla CGdL che negli anni venti fu oggetto della violenza fascista antioperaia, quando è evidente come la prima sia di fatto assimilabile a un organo di governo, mentre la seconda, nelle sue indiscutibili torbidezze, rimaneva un sindacato di classe reduce da un biennio rosso del tutto rimosso dallo sfondo dell’attuale rappresentazione.

Un antifascismo che conduce diritto all’inquietante gioia, così comune e preoccupante, provata da alcuni e alcune di fronte alle azioni repressive che lo Stato compie sui fascisti. Inquietudine peraltro montante vedendo la similitudine fra i capi di accusa di cui le carogne sono fatte oggetto e quelli che molti e molte sovversive sono solite avere a carico: istigazione a delinquere, devastazione e saccheggio, entrambi negli anni fatti oggetto di giuste analisi sui nuovi strumenti repressivi. In generale
ci pare che il discioglimento di organizzazioni politiche, il sequestro e la chiusura di spazi virtuali, la censura, al di là del colore che hanno, siano segnali preoccupanti di un tempo inquisitoriale di cui c’è poco da rallegrarsi.

Di solito termineremmo un tale scritto con un appello alla solidarietà con chi si rivolta. Impossibile a farsi stavolta. Chi si fa manipolare dai fascisti, nella sua ingenuità e forse buona fede, ha di certo tutta la nostra compassione, ma non certo solidarietà. Chi invece fascista lo è in modo conclamato ha tutto il nostro disprezzo. Come dar seguito a tal disprezzo e come chiudere gli spazi a costoro l’abbiamo ben chiaro e il patrimonio di cui sopra ce ne fornisce ottimi esempi, senza scomodare sbirri e giudici.

Ribadiamo la solidarietà semmai a chi lotta sul posto di lavoro e fuori, a chi sceglie di resistere all’imposizione del lasciapassare, a chi si organizza per opporvisi, a chi prende una posizione di classe non ambigua e chiara. Noi siamo con loro.

Anarchiche e anarchici di Bologna

Fonte: ilrovescio.info

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Rivendicazione- Attacata sede Partito Democratico

Milano-La notte fra il 7 e 8 ottobre sono state sfondate le vetrine della sede del Partito Democratico,sezione del quartiere Ortica.

Inutile spendere troppe parole su questo infame partito.Alla pari di tutti gli altri partiti,la sua linea ed azione di governo(in questi ultimi otto anni è il partito che ha maggiormente governato)tende a favorire l’elite ed a peggiorare le condizioni di vita dei meno abbienti.Inoltre,è uno dei principali fautori delle attuali restrizioni e del green pass,strumento di ricatto e discriminazione che impone la segregazione sociale a chi lo rifiuta.

Questa azione vuole lanciare un messaggio chiaro:intraprendere e sostenere una lotta imperniata sulla proliferazione di azioni dirette contro le istituzioni e chi ne tiene le redini.

Solidarietà attiva alle prigioniere e ai prigionieri anarchici sparsi in giro per il globo.

A chi non si arrende.A fianco di chi continua a credere nella rivolta e nella guerriglia anarchica.

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Niente sarà più come prima, per voi

 

Testo:

NIENTE SARÀ PIÙ COME PRIMA, PER VOI

«Mi piace sottolineare che in tutti i casi più gravi le istituzioni si sono dimostrate compatte: magistrati, prefetti, questori e tutte le forze dell’ordine sono intervenute senza esitare rendendo ancora più determinato il volto dello Stato di fronte agli atti delinquenziali che si stavano consumando». Le parole con cui l’ex Ministro della Giustizia Alfonso Bonafede ha rivendicato in parlamento la strage nelle carceri italiane del marzo 2020, possono in realtà essere applicate a tutto quello che è successo in questi due anni.

Milioni di persone hanno potuto finalmente osservare il vero volto dello Stato. Prima ci hanno chiuso in casa per tre mesi, poi è stata la volta del coprifuoco notturno, delle chiusure regionalizzate, del cosiddetto semi-lockdown (quello in cui da casa potevamo uscire, sì, ma solo per andare a lavorare). Infine siamo arrivati alla tanto agognata «ripartenza».

La ripresa economica, costi quel che costi, non è certo un «ritorno» della libertà e della felicità per gli individui, ma la pretesa di una totale abnegazione nei confronti delle necessità del mercato. C’è un filo rosso che collega episodi drammatici come la strage del Mottarone, i sei morti al giorno sul lavoro, le aggressioni ai facchini in sciopero e l’imposizione del green pass a tutti i lavoratori: questo filo rosso si chiama ripartenza dell’economia capitalista. La sola cosa a cui sono interessati è che l’economia non si fermi di nuovo, che non ci siano focolai nelle aziende. La macchina non deve più fermarsi, piuttosto tagliano i freni. La macchina non deve rallentare, piuttosto ci investirà.

Sono gli stessi gran signori della Confindustria che nel febbraio del 2020 hanno fatto lobbing per tenere le fabbriche aperte, che sminuivano la gravità del virus, che insieme ai sindaci democratici di Milano e Bergamo dicevano che non ci si poteva fermare. Gli stessi che oggi ci vogliono imporre il green pass. Che dignità hanno questi signori per darci degli irresponsabili, per dire, loro a noi, che siamo i «negazionisti»?

Il green pass non ha niente a che fare con la crisi sanitaria. In realtà non ha niente a che fare nemmeno con i vaccini (qualsiasi cosa ne pensiamo). Non è vero che il green pass serve a forzare la popolazione verso la campagna vaccinale. È esattamente il contrario: è proprio questa un pretesto per forzarci a scaricare il green pass. Il malcelato obiettivo del governo è quello di sfruttare la pandemia per un’inedita forma di svolta autoritaria.

In questi anni i padroni hanno ottenuto tutto: hanno continuato a produrre, pretendendo che restassimo a casa quando non dovevamo andare a lavorare per loro; hanno ottenuto lo sblocco dei licenziamenti, imponendo Mario Draghi, già bieco burocrate della BCE e massacratore della Grecia, a capo del governo; ci stanno affamando con gli aumenti delle bollette e del carburante, modo indiretto per tagliare i nostri salari. Davanti a questa crisi strutturale la sola risposta che lo Stato può dare è l’inasprimento della repressione, il rafforzamento del controllo sociale.

A questo serve il green pass!

Il green pass non è una misura temporanea: nei loro piani, è uno strumento di controllo destinato a rimanere. Davanti a questo odioso dispositivo non possiamo permetterci compromessi o vie di mezzo (come i tamponi gratuiti). Il problema non è ottenere il green pass pur preservando la nostra fantomatica «libertà di scelta». Va sabotato con ogni mezzo questo infame strumento di controllo.

A questo inasprimento della repressione rispondiamo inasprendo lo scontro. In tanti lo hanno capito, scendendo nelle strade senza leader e burocrati collaborazionisti del regime. Non sappiamo come andrà a finire questa lotta, sappiamo però che per milioni di sfruttati quanto accaduto da due anni a questa parte ha rappresentato una sorta di perdita dell’innocenza. In tanti hanno visto il vero volto dello Stato. Sono gli stessi analisti del regime a mostrarsi preoccupati della perdita di fiducia nei confronti delle istituzioni, della politica, della polizia, dei sindacati. Che questo fossato diventi incolmabile, che a sentirsi assediati da oggi siano loro. Che la sfiducia diventi conflitto.

All’inizio dell’emergenza ci hanno detto «niente sarà più come prima». È la sola cosa su cui non ci hanno mentito: per voi padroni e governanti, niente sarà più come prima. Non reclamiamo diritti, ardiamo d’anarchia.

CI VEDIAMO NELLE STRADE

 

Fonte: Malacoda

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Sui fatti di Prato- Al fianco dei lavoratori pratesi !

Oggi 11 ottobre si sono verificate all’interno dell’area industriale del Macrolotto 2 di Prato, rappresaglie contro operai pakistani, appartenenti alla sigla sindacale SI-Cobas di Prato. La vile violenza è stato l’effetto della sommossa dei lavoratori sfruttati di origine pakistana, che da tempo attuano vari scioperi per ribellarsi alle logiche padronali e di sfruttamento attuate dalla Dreamland S.r.l, cliente della Texprint.

I padroni cinesi armati di spranghe hanno rincorso i vari lavoratori che attuavano la protesta, malmenandoli con calci e sprangate. I video dell’accaduto hanno subito fatto il giro del web, facendo intervenire il sindaco di Prato che ha esordito con la frase più da burocrate che gli si poteva addicere:

“Adesso, intervenga il Governo..”

La frase da parte del ‘primo cittadino’ di Prato, rappresenta l’esempio di come oggi la politica comunale-e non, abbia un contatto pari a zero con la realtà lavorativa e sociale di un determinato territorio. La poltica della giunta comunale odierna e passata, ha unicamente favorito nel corso degli anni la visione lavorativa attuata dalle aziende cinesi nel territorio, dati i grossi ingenti di danaro provenienti dalla mano d’opera iper-sfruttata cinese, e dallo sfruttamento nostrano di pakistani, italiani, e di tutte le nazionalità ridotti in condizioni di schiavismo, all’interno della logistica aziendale.

Noi non vogliamo che il Governo ‘intervenga’, noi vogliamo che l’unione degli sfruttati faccia il suo corso, distruggendo ciò che rappresenta il lavoro oggi a Prato, e in tutta Italia.

Fa riflettere come il Questore e la sbirraglia, intervenga tempestivamente per reprimere qualsi voglia protesta contro lo sfruttamento, e come in questo caso sia stato lasciato un tappeto rosso ai padroni delle fabbriche cinesi per sprangare gli operai pakistani.

Oggi più che mani siamo al fianco degli operai pratesi, affinchè tale lotta non sia vana!

 

Campania Libertaria

 

 

 

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VOLANTINO- NESSUNA DELEGA, NESSUN COMPROMESSO

TESTO:

VIVIAMO IN UN’ERA CARATTERIZZATA: DAL PRECARIATO, DAL PREDOMINIO DEL PROFITTO SULL’ESSERE UMANO, DALLO SCHIAVISMO LAVORATIVO, DALL’OMOLOGAZIONE DI MASSA, DAL CONTROLLO DELLA TOTALITA’ DELLA NOSTRA VITA, DALLA COERCIZIONE FISICA E MENTALE VOLTA A SPEGNERE OGNI FIAMMA RIVOLUZIONARIA CHE PUO’ ACCENDERSI ALL’INTERNO DELLA POPOLAZIONE SFRUTTATA ED EMARGINATA.
MENTRE I CENTRI DELLE CITTA’ SI TRASFORMANO IN VETRINE DI UN NEGOZIO UGUALE IN TUTTO IL MONDO, E LE PERFERIE BRUCIANO, NOI INERMI NON RESTIAMO.
RIPUDIAMO QUALSIVOGLIA RAPPRESENTANZA POLITICA, VOLTA UNICAMENTE A OCCUPARE UNA POLTRONA IN PIU’ ALL’INTERNO DELLE GABBIE DEL POTERE.
OGNI SINGOLO ISTANTE IN CUI SI PUO’ SCAGLIARE UNA PIETRA CONTRO IL SISTEMA, E’ UN MOMENTO UTILE
PER LIBERARCI DEL PREDOMINIO DEI NOSTRI OPPRESSORI.
OGNUNO DI QUESTI ISTANTI RAPPRESENTA LA SCINTILLA, SEPPUR MINIMA, AFFINCHE’ LO SPIRITO RIVOLUZIONARIO SI DIRAMI NEI CUORI E NELLE MANI DEGLI ULTIMI DELLA SOCIETA’.
DALLE PERIFERIE, DALLE AZIENDE, DALLE CARCERI, DALLE STRADE E DALLE UNIVERSITA’,
LA FIAMMA RIVOLUZIONARIA DEVE INCENDIARE OGNI SIMBOLO E PRINCIPIO DI QUESTA SOCIETA’.

 

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Notizie- Prigionieri Anarchici- Elisa di Bernardo: “Stiamo vincendo delle battaglie per la libertà di Gabriel Pombo da Silva”

 

 

“Non ha mai fatto uso di droghe, ha le idee molto chiare, e la sua forza fisica e mentale lo hanno aiutato a sopravvivere in prigione nonostante la FIES (Fichero de Internos de Especial Seguimiento – Dossier dei detenuti sotto sorveglianza speciale Ndt). Quasi tutti i suoi compagni sono morti. È sopravvissuto a un genocidio”, ci spiega la compagna del prigioniero anarchico.

Elisa di Bernardo si è recata nella giornata di ieri ad Oviedo per raccontare la situazione del suo compagno Gabriel Pombo da Silva. È stata invitata dal gruppo Higinio Carrocera, in collaborazione con il centro comunitario Cambalache, approfittando della sua visita a Pombo nel carcere di Mansilla de las Mulas a León. Elisa ha fatto un resoconto molto completo sia della situazione giuridica del prigioniero anarchico, che della sua vita e della sua lotta durante più di 30 anni di carcere. È stato un discorso che non solo ha fornito informazioni su Pombo, ma ha anche mostrato come, all’interno delle mura della prigione, la “democrazia” scompare e si entra in un mondo oscuro, in cui si è sottoposti a torture fisiche e psicologiche, a vendette personali da parte di giudici e carcerieri, a prigioni dentro la prigione (FIES). Inoltre, Elisa ci ha offerto inoltre una prospettiva su questo contesto, su come la disuguaglianza, la miseria, l’ingiustizia e la povertà, inerenti al sistema capitalista e statalista, producono “criminali”.

Elisa ha iniziato il suo discorso prendendo dal suo zaino tre importanti libri sulla situazione dei prigionieri e sul mondo della lotta anti-carceraria: “Estrema indigenza, estrema violenza”, “Per non dimenticarmi” di Madri unite contro la droga e il Rapporto sulla tortura nello Stato spagnolo, che Elisa ha spiegato essere stato censurato dalla polizia, poiché racconta gli anni più tristi del regime FIES.

Dopo questa introduzione bibliografica, Elisa di Bernardo ci ha parlato della vita di Gabriel Pombo. “Visse a Vigo (città della comunità autonoma della Galizia Ndt) in una baracca, fino a quando decise di emigrare in Germania per guadagnarsi da vivere. Lì scoprì un nuovo mondo e cominciò anche a conoscere l’istintiva solidarietà tra i poveri. La prima domanda politica che Gabriel si pose fu: “Se mio padre costruisce case, perché noi non ne abbiamo una?”.

Gabriel è cresciuto in Germania ed fu arrestato per la prima volta a 13 anni, per una rissa. Lo portarono al carcere minorile. Con la condizionale scappò e decise di tornare in Spagna. Il suo ritorno fu un’avventura. Nel 1981 erano gli anni della droga. “Gabriel non divenne mai dipendente, ma vide morire i suoi compagni. Sapeva da dove veniva la droga, chi l’aveva introdotta e, soprattutto, per cosa”, spiega Elisa. Quello è stato il momento in cui decise di espropriare. Iniziò con i camion che trasportavano cibo, per distribuire la merce tra le famiglie povere e, a 15 anni, iniziò ad espropriare le banche, con l’obiettivo di sostenere i prigionieri e le loro famiglie con il ricavato delle rapine. Contribuì anche all’ organizzazione di sostegno ai prigionieri della Copel (Coordinadora de Presos en Lucha – Coordinamento dei prigionieri in lotta Ndt), anche se non ne faceva parte.

Nel 1984, quando aveva 17 anni, Gabriel fu condannato a 3 anni di prigione per una delle rapine, proprio quella che non aveva commesso. “Era molto arrabbiato e da allora andò nelle banche con il volto scoperto e lasciando le sue impronte digitali”. I tre anni si trasformarono così in cinque anni di vita carceraria. Elisa ci ha parlato della nascita del carcere modulare, avvenuta negli anni 90, con l’obiettivo di evitare le rivolte, “consiste nel non lasciare i prigionieri insieme per molto tempo, anche se questo non ha impedito che la lotta continuasse. Per questo sono stati creati gli APRE (Asociación de Presos en Régimen Especial – Associazione dei prigionieri in regime speciale Ndt), per denunciare l’isolamento permanente. Nonostante questo, carcerieri e giudici hanno sempre considerato Gabriel Pombo come il “leader” delle rivolte “anche se era impossibile perché era sempre in isolamento. Ma era solo una scusa per evitare le condanne ordinarie. In totale ha passato 23 anni in isolamento”, spiega Elisa, che aggiunge che ora lo Stato ha cambiato strategia e invece di applicare la tortura “semplicemente ti tolgono i diritti che hai affinchè ti comporti bene”.

“Oggi”, spiega Elisa, “dei cento prigionieri del FIES degli anni ’90, solo sei sono ancora vivi. Gabriel è sopravvissuto a un genocidio pianificato, ma si è salvato, tra l’altro, stando lontano dalla droga”. Il suo passaggio all’anarchismo avvenne negli anni ’90. Nel 2001 entrò nelle carceri basche, dove c’era una politica carceraria diversa. Nel 2003 gli furono concessi dei condoni e gli diedero dei permessi, e durante uno di questi riuscì a scappare. Già in precedenza, nel 1989, a causa di un errore, fu rilasciato e si diede alla fuga”. Durante quei mesi continuò a rapinare banche e ad attaccare sfruttatori e mafiosi appartenenti al mondo della droga. Un altro dei suoi obiettivi era liberare prigionieri e facilitare la fuga di persone come Xosé Tarrío, anche se non ci riuscì. “In quei 4 mesi giustiziò uno sfruttatore mafioso proprietario di un bordello, a cui aveva già dato un avvertimento”.

Nel 1990 aveva già sulle spalle condanne per un totale di 166 anni, quando il codice penale ne impone un massimo di 30. “Per più di 30 anni è stato sottoposto al brutale regime del FIES, creato da un governo del PSOE (Partido Socialista Obrero Español – Il Partito Socialista Operaio Spagnolo Ndt), una prigione nella prigione. Per oltre 10 anni il regime carcerario più brutale fu quello della prigione di Teruel. I condannati al carcere sapevano che sarebbero stati torturati una volta rinchiusi li, al punto che, nelle loro case, usavano l’elettricità per preparare i loro corpi a quello che gli avrebbero fatto una volta finiti dentro”.

Elisa ha aggiunto che a Gabriel fu offerto un lavoro come educatore di minori, da parte dell’ amministrazione carceraria, che lui rifiutò strenuamente, poiché capì che significava servire l’istituzione penitenziaria “passando dall’altra parte”. Successivamente si recò ad Aquisgrana, in Germania, dove scrisse il suo libro “Diario e ideario de un delinquente” (Diario e ideologia di un delinquente Ndt).

In Germania fu condannato a 14 anni, ma dopo aver scontato 8 anni e mezzo fu riportato in Spagna. Della sua permanenza nelle carceri tedesche, Elisa dice che Gabriel ha sottolineato spesso che sono molto più ‘democratiche’, nel senso che è un modello di prigione dove la legge è semplicemente applicata e tutto è più corretto, rispetto all’arbitrarietà delle carceri spagnole dove vige ” la continua vendetta di carcerieri e giudici”.

Nel gennaio 2013 Gabriel tornò in Spagna dove il suo gruppo di sostegno legale iniziò a lavorare sulla base di uno dei pilastri del diritto europeo, il principio di specialità. Elisa ci spiega che: In base al principio di specialità un paese dell’UE può restituire un prigioniero a un altro paese che lo richiede solo se deve scontare la pena in sospeso e non un’altra condanna. Quello che Gabriel doveva ancora scontare erano 3 anni e sette mesi.

Nel maggio 2016 la liberazione di Gabriel Pombo sembrava finalmente vicina. La Germania diede l’ordine di liberarlo. Fu allora che il tribunale di Gerona fece una strana rifusione delle sentenze e il giudice Mercedes Alcázar decise che doveva ancora scontare 16 anni per il calcolo lordo. L’avvocato di Gabriel intentò una causa per illecito contro il giudice, che fu sospeso per 6 mesi. Gabriel venne così rilasciato dopo 30 anni passati in prigione.

Comincia a riorganizzare la sua vita, si stabilisce in una casa familiare che intende sistemare per creare un centro sociale libertario a cui vuole dare il nome di Agustín Rueda, ha una figlia. Tuttavia, la tranquillità fu di breve durata. Un avvocato tedesco che non aveva elaborato correttamente il principio di specialità, costrinse Gabriel, Elisa e la loro figlia a fuggire dalla Spagna, dopo oltre un anno e mezzo, per evitare un nuovo arresto, costringendoli ad abbandonare i loro progetti di vita. “Si trattò di una relativa “clandestinità”, con una bambina piccola non si può fare molto. Eravamo in Portogallo, in una clandestinità familiare, e le nostre uniche armi erano solo i pannolini”, scherza Elisa. Le cose iniziarono a complicarsi e al ricorso dalla Spagna se ne aggiunse un’altro dall’Italia a cui seguì un mandato d’arresto internazionale. Chiedemmo la nazionalità portoghese (la madre di Gabriel è portoghese) per evitare il trasferimento, ma non poterono evitarlo, in quanto in Portogallo non esiste una giurisprudenza sul principio di specialità, “vince il paese più forte”, spiega Elisa. Allo stesso tempo, la giudice di Gerona, riabilitata alla sua professione, “preparò la sua vendetta” ed iniziò a fare pressione sui giudici portoghesi dicendo loro che Gabriel era pericoloso. Così, nel maggio 2020, viene consegnato a Badajoz, la cui prigione ha una pessima reputazione. “Fu uno shock per Gabriel il quale, una volta rinchiuso, venne anche a sapere che, per una strana coincidenza, i file che contenevano materiale per le organizzazioni dei diritti umani, per conoscere e documentare le torture che venivano applicate, erano stati bruciati. “Ma questa è l’impunità cronica delle carceri spagnole”, spiega Elisa.

Rimase a Badajoz per 5 mesi, proprio nel momento in cui fu creato il cosiddetto “modulo del rispetto”, che implica una sottomissione totale, “è uno strumento di controllo”, dice Elisa.

Per la prima volta Gabriel fu considerato un prigioniero di secondo grado, anche se poi con l’arrivo della pandemia le visite furono sospese. Successivamente fu trasferito nella prigione di Mansilla de la Mulas, costruita nel 1999, “una prigione che finge di essere più progressista. Quindi è mezza vuota. Gabriel si rifiutò di entrare nel modulo del rispetto e fu portato in quello che si chiama “modulo di osservazione”, dove venne lasciato da solo tutto il tempo”, racconta Elisa.

Elisa spiega anche che ora c’è una nuova generazione di prigionieri la cui “etica” è cambiata in peggio. Non ci sono più lotte, non ci sono più prigionieri organizzati, non c’è più solidarietà. Il sistema ha trionfato ancora una volta grazie agli anni di applicazione delle politiche di isolamento…

Elisa di Bernardo ci spiega qual è la strategia di difesa legale che stanno portando avanti attualmente, e che si basa su tre fronti. Il primo è quello di continuare a lavorare sul diritto di specialità, che è in fase di elaborazione presso la Corte di Giustizia UE in Lussemburgo. Un altro fronte è la richiesta di rifondere le sentenze sulla base del nuovo codice penale (che riduce le pene massime a 20 anni). Il terzo fronte è che il calcolo penitenziario riconosca tutte le commutazioni che gli spettano. Grazie a tutto questo, Gabriel Pombo dovrebbe già essere in libertà. Tuttavia, aggiunge Elisa, “oggi la magistratura usa il tempo a suo vantaggio per punire. Ritardando ed evitando così di applicare la legge”.

“Crediamo e speriamo che esca presto, anche se la sentenza del tribunale italiano è ancora un mistero, non si sa mai da dove possa arrivare”, dice Elisa che, però, capisce che “abbiamo vinto una parte della battaglia”. Il tribunale provinciale di León ha obbligato il carcere a eliminare i divieti alle sue comunicazioni, sostenendo che non è un detenuto pericoloso e che non ha alcuna giustificazione. L’ordine è stato molto severo nei confronti dell’istituzione penitenziaria. Questo è il motivo per cui ora sta iniziando ad avere problemi nella sua attuale prigione. “Un’altra vendetta, questa volta hanno cominciato a negargli i permessi”, conclude Elisa.

Fonte: actforfree.noblogs.org

Traduzione in italiano a cura di: infernourbano

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